È
di questi giorni un appello di Emergency per l'ospedale pediatrico diBangui, capitale della Repubblica Centrafricana.
Leggo
preoccupata e vado a cercare se trovo nuove testimonianze sul sito di
COOPI e trovo un aggiornamento dello scorso 29 novembre.
Sono
preoccupata e arrabbiata allo stesso tempo. Ogni giorno la
televisione parla di guerre, scontri e morti in giro per il mondo.
Siamo quasi assuefatti a queste notizie, come se la guerra fosse un
naturale evento della vita.
Poi
un giorno ti trovi ad aspettare notizie di un ragazzino che conosci e
a cui vuoi bene. Sai che vive proprio lì a Bangui, in mezzo agli
scontri e le violenze e quella assuefazione da notizia ricorrente
sparisce di colpo.
Proprio
in questi giorni sto leggendo il libro di Gino Strada “Pappagalli
verdi”.
Me
lo aveva regalato un amico tempo fa, ma non avevo ancora avuto il
coraggio di leggerlo. Non ne so il perché, forse è per quella paura
di dover aprire gli occhi sempre più su realtà che non si vorrebbe
esistessero. Comunque sia, e nonostante le varie motivazioni inutili,
ora lo sto leggendo e questo serve molto di più dello star lì a
chiedersi come mai non lo si è fatto prima.
Nel
libro non ci sono racconti vissuti in RCA, ma poco importa, se si
parla di Afghanistan, Ruanda, Vietnam, Kurdistan, Perù, Gibuti, …
la violenza colpisce sempre i più deboli, i bambini, le donne, i
vecchi, gli uomini che volevano solo vivere in pace del loro lavoro.
Nel
libro non si parla della RCA, ma leggendolo so che tutti i fatti lì
narrati potrebbero essere capitati e capitare tuttora proprio in
RCA... aggressioni, morti, bambini vestiti da soldato che uccidono i
loro stessi fratelli e genitori in una follia collettiva a cui, per
quanto mi sforzi, non riesco a dare una motivazione.
Leggo
le pagine del libro e non posso far altro che pensare continuamente
ad Abuin, ai suoi genitori, al banchetto che la mamma tiene davanti
la porta di casa per guadagnar quel che permetterà loro di vivere e
a Abuin, che nonostante i suoi problemi di salute si impegna ad
aiutarla controllando la merce ben esposta sul tavolo.
Mi
chiedo cosa pensi Abuin di quello che gli sta succedendo attorno.
Cosa possa comprendere di tutta quella follia insensata, dei colpi
delle armi, dei morti per le strade.
Mi
chiedo se sia ancora nella sua casa o sia riuscito a fuggire nella
foresta come in tantissimi sono stati costretti a fare.
Mi
chiedo se abbiano potuto trasportarlo via, al sicuro, perché lui non
è in grado che a fare pochi piccoli passi, figuriamoci a correre per
salvarsi la vita.
Mi
chiedo, mi chiedo, mi chiedo... e mi rendo conto di quanto sia
assurda questa situazione. Di quanto siano inutili e sterili questa
lotte per il potere che ogni giorno mietono vittime in ogni parte del
mondo... e le mietono tra chi non ne può nulla, tra chi cercava solo
di vivere una vita dignitosa e serena.
Nell'ultima
pagina del libro c'è una frase che mostra il risultato di questa
follia:
“Nei
conflitti di oggi, più del novanta per cento delle vittime sono
civili. Migliaia di donne, di bambini, di uomini inermi sono uccisi
ogni anno nel mondo. Molti di più sono i feriti e i mutilati.”
Non
c'è molto da commentare ancora.
Chiudo
il libro e non posso far altro che aspettare che arrivino nuove
notizie di Abuin, sperando che sia salvo, e con lui i suoi genitori.
foto di COOPI |
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